
Come poter superare i problemi sul lavoro?
E’ opinione comune che si chieda aiuto ad uno psicologo-psicoterapeuta solo per problemi legati a paure, ossessioni, disordini alimentari o, non raramente, per problematiche relazionali e familiari. In effetti, nei cinque anni della mia attività professionale questi sono stati i principali motivi per cui le persone mi hanno contattata. Tuttavia non posso non notare, soprattutto in questo ultimo anno, come sia in parte cambiata la richiesta di sostegno psicologico: sempre più frequentemente il motivo per il quale molta gente soffre è ‘diverso’, potremmo dire ‘nuovo’, legato ai cambiamenti che la nostra società e la nostra economia hanno recentemente subito. Il problema al quale mi riferisco è quello del ‘lavoro’, un lavoro che è o fonte di forti preoccupazioni quando non c’è – oggi realtà per molti – o causa di forte stress quando invece c’è. Non voglio certo dire che non vi siano situazioni nelle quali il lavoro continua ad essere motivo di grande soddisfazione, sia personale che economica, ma di certo queste sono sempre più rare; purtroppo oggi la maggior parte delle persone non trae alcuna gratificazione dal proprio impiego vuoi perché non lo ha, vuoi invece perché ‘vive per lavorare’. Queste sono le due tristi alternative che ho e che sto tuttora riscontrando nella mia pratica clinica; non che sia caduta dalle nuvole e che non sapessi quanto il problema dell’occupazione fosse oggi uno dei principali problemi degli italiani e non solo. Ma vi posso assicurare che sentirne parlare alla tv o vederlo scritto sui giornali è cosa ben diversa che ascoltare le parole di una persona disperata che di fronte a voi, in lacrime, vi dice che la sua unica via di uscita è il suicidio; oppure vedere sul viso di un’altra i segni di turni massacranti che non le lasciano spazio per la famiglia, i figli, la vita in generale.
Questo mese ho deciso di dedicarlo a loro, ho deciso di dare voce, attraverso il mio articolo, a chi sembra che di voce non ne abbia più per gridare ‘non posso più continuare a vivere così, mi sento un fallito, sono disperato, come potrò crescere i miei figli?’; o a chi è costretto a non alzare la testa, a non dire niente, a non ribellarsi alle dodici ore di lavoro giornaliere per la paura di ritrovarsi senza lavoro da un giorno all’altro.
Chi vive senza un lavoro, tranne nei casi in cui questa sia una scelta voluta piuttosto che una condizione subita, vive senza la possibilità di godersi quello che la vita può offrire, non è ‘libero’ di fare, andare, comprare: il suo unico pensiero è solo e soltanto ‘non posso permettermelo’; ma una vita senza libertà di agire è una ‘vita non vita’. Allo stesso modo, però, una ‘vita non vita’ è anche quella di coloro che nelle poche ore di libertà dal lavoro hanno necessità di riposarsi dalla tanta fatica fatta, hanno bisogno di dormire e staccare almeno per un po’ e non hanno più energie e forze da dedicare a sé stessi e alla propria famiglia. In un caso la persona avrebbe il tempo ma non ha le possibilità economiche; nell’altro avrebbe le possibilità economiche ma non il tempo. Sono due alternative difficili da vivere giorno dopo giorno: la prima crea nella persona un vuoto, la sensazione di essere inutile per la società, per la famiglia; l’altra costringe la persona ad essere come una macchina, sempre accesa e sempre in movimento. E purtroppo in entrambi i casi quello che accade è che perdiamo la nostra ‘persona’, mettiamo da parte le cose che amiamo, le cose che ci interessano veramente, ci disabituiamo al piacere fino a che, ad un certo punto, non sappiamo neanche più che cosa veramente ci rende felici. Ma, come scriveva il grande uomo e filosofo sant’Agostino: ‘nessuno può vivere senza il piacere’; ecco il motivo per cui se questo viene a mancare, come accade per chi vive una di queste due condizioni, la vita sembra non avere più nessun senso, nessuno stimolo, nessun desiderio da realizzare. E’ legittimo pensare che si tratti di situazioni per le quali un aiuto da parte di uno psicologo-psicoterapeuta non serva assolutamente a niente; come posso cambiare le cose parlando con qualcuno? In effetti, forse, le cose non cambiano: una terapia non può certo procurare un lavoro o diminuirne il carico. Ma non dobbiamo dimenticare che la persona che vive in queste situazioni si sente profondamente ferita, prova rabbia nei confronti del mondo intero e soffre di un dolore difficilmente comprensibile ai più, che giustamente, per cercare di dare conforto, le dicono ‘stai tranquilla che prima o poi lo trovi questo lavoro…’; oppure ‘di che cosa ti lamenti, almeno tu un lavoro ce l’hai, pensa a chi non lo ha…’. E allora come possiamo pensare che una persona che vive nella rabbia, nel dolore, con una ferita che non riesce mai a rimarginarsi, non abbia bisogno di un aiuto psicologico, di un sostegno? Al contrario è necessario che, prima possibile, si liberi da queste sensazioni, che butti fuori quello che tanto la fa soffrire e che recuperi quanto prima la capacità di tornare a ‘vivere’, a fare le cose che ama, a risentire quel piacere senza il quale la vita non avrebbe nessun senso. E non necessariamente devono essere cose dispendiose o cose per le quali occorre impiegare molto tempo: a volte basta una piccola cosa piacevole al giorno, e, ripeto, ‘piccola’, come ascoltare una canzone che non sentivamo da tempo e che era la nostra preferita, o fare una telefonata ad una persona cara con la quale abbiamo perso i contatti, oppure dedicarsi per soli dieci minuti ad una passione che invece il poco tempo ci ha fatto mettere da parte, ma che noi sappiamo di avere ancora, per farci sentire di non aver passato un altro giorno inutilmente, esattamente uguale al precedente. Ed è la somma di tante piccole cose piacevoli al giorno che ci aiuta a riscoprire cose di noi e della nostra vita che avevamo quasi dimenticato; a volte ‘basta un raggio di luce per dissipare mille oscurità’.
L’aiuto che serve in questi casi è non tanto una vera e propria terapia psicologica quanto piuttosto un sostegno; il dramma di questi casi, però, è che o non ci sono le possibilità economiche per permettersi i costi di una serie di consulenze psicologiche o non ce ne è il tempo.
Per questo motivo, per quanto mi è possibile, cerco di venire incontro a queste due esigenze: se il problema è di tipo finanziario, allora, come volontaria dell’associazione Watzlawick-Nardone onlus, offro terapie gratuite a chi non può permettersi i costi di incontri psicologici; se invece il problema delle persone è di non avere tempo durante la settimana, le ricevo nel finesettimana. Questo perché credo che sia importante, per chi ha scelto di fare il mio mestiere, non negare mai, nei limiti del possibile, l’aiuto richiesto.