Sofferenza oncologica

Sofferenza oncologica: come poterla alleviare.

Una sentenza che non perdona, quattro parole che come un fulmine cambiano la vita di chi, purtroppo, se le sente pronunciare: ‘Lei ha un tumore’. La reazione immediata è sgomento, incredulità, quasi un distacco emotivo, come se quella realtà riguardasse un’altra persona; non potete pensare di essere voi i malati, la cruda verità di avere un male, il più delle volte senza speranza, all’inizio è inaccettabile. E questa è una reazione assolutamente normale di noi esseri umani. Non è necessario essere psicologi, basta essere dei buoni osservatori per vedere come, in effetti, persone che a seguito di un incidente o di un evento tragico come un terremoto perdono uno, due, a volte l’intera famiglia restano lucide e ragionevoli, quasi distaccate. Intervistate – cosa questa alquanto criticabile secondo la mia opinione – sono in grado di raccontare l’accaduto, sono capaci di fare il nome di loro figlio dicendo che l’incidente o il terremoto se lo è portato via. Ma questa è solo la prima, immediata, reazione. Quale madre, quale padre potrebbe parlare con tanta facilità della morte della loro stessa vita? Quale uomo o quale donna accetterebbe di avere solo due o tre mesi di vita? Nessuno, tranne quei pochi per cui la morte rappresenta la sola e unica strada per liberarsi da una vita infernale. Passata questa prima fase, ne inizia un’altra, ben più faticosa e dolorosa. Sì, perché mentre all’inizio il dolore della notizia viene soffocato da un’umana necessità di sopravvivenza, dopo arriva tutto insieme, da un momento all’altro nessuna barriera protegge più e la persona malata si trova a dover fare i conti con la realtà di avere un tumore, un male nella maggior parte dei casi inguaribile: in pochi giorni vede davanti a sé solo nero, il nero di una morte imminente. Inizia per molti lo straziante percorso della chemioterapia; mesi di angoscia, di agonia, di malessere non solo fisico ma anche, e soprattutto, mentale. Vedersi trasformare in così breve tempo, ritrovarsi senza capelli, magri, con continue nausee e sperare che tutto quel dolore possa avere buon esito. Quello che accade nei mesi di cura è veramente straziante per la persona; ogni certezza cade, il futuro non esiste più, i progetti di vita vengono meno, non interessa più niente; vale solo il presente, un presente fatto di ore, minuti, secondi in cui in testa c’è un solo e unico pensiero: il fatto di avere un male che ti sta portando via la vita. Così, come il fulmine brucia violentemente il terreno in cui cade, allo stesso modo la notizia spazza via con altrettanta forza tutto ciò che la persona si era costruita fino a quel momento; la vita in un soffio appare così preziosa, quella stessa vita che fino a qualche giorno prima poteva sembrare faticosa, noiosa, a volte ‘insopportabile’. Ora dareste qualsiasi cosa pur di riaverla; sì, quella stessa vita, quella che davate per scontata, quella nella quale ore, giorni, mesi passavano così velocemente da non assaporare il più delle volte quello che di bello poteva offrire. Ora un giorno sembra durare una vita, troppe sono ventiquattro ore se queste sono in preda all’angoscia e al dolore, interminabili i minuti… Ma è anche vero che ogni giorno passato è un giorno in più di vita, di speranza, di lotta; perché di lotta si tratta. E in questa sofferta odissea, la persona ha un forte bisogno di aiuto, di sostegno, di conforto. I familiari giocano un ruolo fondamentale in questo senso, il calore delle persone amate aiuta a combattere il male, una parola o a volte semplicemente un gesto di amore da parte di un marito, di una moglie, di un figlio o di un nipote riaccendono la fiamma della ‘possibilità di farcela’. Ma il ruolo dei familiari non è sempre così facile; purtroppo, spesso, le rassicurazioni date alla persona ammalata sul fatto che ‘ce la farà’ non sono di grande aiuto, per quanto questo è quello che naturalmente viene da dire. Più che di rassicurazioni il malato ha bisogno di parlare del suo male, di piangere, di buttare fuori tutto il suo dolore, le sue angosce, le sue paure: in questo caso il familiare dovrebbe solo – e di certo non è poco – ascoltare e accogliere tutto quanto viene detto. Dovrebbe, cioè, stare in silenzio senza dire una parola, solo e soltanto porgere una spalla su cui piangere. Di certo non è una cosa facile da fare, soprattutto se l’ammalato è vostro marito o vostra moglie, o ancor peggio vostro figlio. Per questo sono fondamentali figure esterne alla famiglia – medici, psicologi, assistenti sociali – che con la loro presenza e le loro parole vanno ad alleviare il dolore non solo dell’ammalato ma di tutta l’intera famiglia, perché purtroppo di fronte a tali mali è l’intera famiglia ad ammalarsi; l’atmosfera familiare cambia, si fa cupa e triste, non ci sono più feste spensierate, domeniche passate insieme a ridere l’uno dell’altro. La routine giornaliera subisce un cambiamento perché tutto ruota intorno alla persona ammalata; anche per i familiari quindi c’è necessita di avere un aiuto psicologico, un sostegno per resistere, per essere forti nonostante la disperazione. Avere dei colloqui con uno psicologo, uno psicoterapeuta aiuta l’ammalato a trovare la forza per andare avanti: in questi casi si deve parlare del proprio male, si devono buttare fuori tutte le paure, le angosce che ci attanagliano, che non ci lasciano per un solo istante; allo stesso modo aiuta il familiare per affrontare al meglio la difficile situazione, per essere a sua volta un sostegno per la persona ammalata: anche i familiari hanno bisogno di sfogarsi, di tirare fuori tutto quel dolore che con tanto sforzo e amore cercano di non mostrare di fronte all’ammalato. Ecco perché un sostegno psicologico è fondamentale per entrambi. In questo senso possono essere di grande aiuto anche i gruppi di auto-mutuo-aiuto: si tratta di un gruppo di persone – in genere non oltre la decina – che condividono lo stesso problema e che si confrontano tra loro, cercando di farsi forza l’un l’altro. Per quanto per altri tipi di problema psicologico i gruppi di mutuo-aiuto non siano indicati, anzi direi aggravano ancor di più la situazione dei singoli, – parlare delle proprie paure ad esempio non fa che alimentarle –, in questo genere di problema, invece, risultano di grande importanza. L’ammalato parlando del suo male in parte se ne libera, lo dà un po’ agli altri, e in questo modo affronta meglio tutto ciò che giornalmente è costretto a vivere; allo stesso modo i familiari, con persone che essendo nella stessa situazione comprendono perfettamente quanto sia difficile vivere accanto ad una persona ammalata di tumore, buttano giù la maschera dell’essere forti. Purtroppo in Casentino mancano strutture che organizzino questi incontri; credo che sarebbe una grande mano tesa verso molte persone – troppe, se consideriamo la forte incidenza di tumori in una piccola vallata come la nostra. Io come psicologa e psicoterapeuta, ma in primo luogo come donna, moglie e madre, mi attiverò in questo senso – con la formazione di gruppi di auto-mutuo-aiuto per persone malate di tumore e per i loro familari – per cercare di dare in questo modo sostegno e speranza a chi ne necessita sopra ogni altra cosa.

Ilaria Artusi
L'autrice: Ilaria Artusi
Psicologa e psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Breve Strategica, training autogeno ed autoipnosi. Svolgo attività di consulenza clinica, sostegno psicologico e psicoterapia rivolta al singolo, alla coppia e alla famiglia. Tengo cicli di incontri di divulgazione psicologica rivolti a un pubblico di non specialisti.

Lascia un commento