Diagnosi di cancro

Come saper reagire e come riuscire a sopportare una Diagnosi di cancro.

Pensi sempre che a te non accada, che ne parlerai sempre da ‘non protagonista’; la vita corre veloce… soldi, tempo, amore, grattacapi lavorativi: questi i problemi di ogni giorno, problemi veri, reali, ma che troppo spesso ci fanno perdere di vista quello che veramente conta per noi tutti e cioè la vita stessa… E poi, in una vallata così unica come quella casentinese, aria pulita, vita all’aperto, protetta dalle montagne da smog cittadino e rumori assordanti, c’è quasi la credenza ‘magica’ di essere immuni da tutto e da tutti, malattie o ‘fatti di cronaca’ da notizia televisiva. Eppure non è così; come tutte le persone che abitano questo mondo, condividiamo la stessa sorte. Sorte maledetta a volte: come quella di chi, da un giorno all’altro, scopre di avere un cancro. Ed è una sorte tanto più maledetta quanto più giovane è l’età della persona alla quale viene diagnosticata la malattia, magari con figli piccoli che hanno ancora bisogno di genitori forti e presenti. Ma alla sorte non si sfugge: questa volta quelle parole impronunciabili ‘lei ha un tumore’ sono rivolte a noi, proprio a noi, che magari siamo andati dal medico solo per uno scrupolo: ci sembrava infatti di stare così bene, nessun sintomo, nessun dolore. Ma il cancro è una malattia invisibile, ancora più difficile da combattere.
Da un momento all’altro la vita cambia volto. Psicologicamente, all’inizio, c’è la disperazione: sentimenti di paura, sconfitta e panico si affollano in noi e sono così forti da farci sentire totalmente impotenti e disarmati; sembra quasi di entrare in un tunnel infuocato, non ci sono vie di uscita se non quello di attraversarlo tutto per ritrovarci finalmente fuori senza più respirare fumo e sentirsi bruciare dentro. Ma quanto è difficile questo? Moltissimo. Tuttavia, anche la disperazione più ‘disperata’ riusciamo a trasformarla in forza: la forza di lottare scatta dentro di noi come non mai, sentiamo che possiamo diventare i protagonisti di questa lotta, magari accettando di perdere qualche battaglia, ma con l’unico obiettivo di vincere la guerra. Tutto questo non potrebbe mai essere possibile se non ci fossero persone che ci aiutano a tirare fuori il meglio di noi. I primi, senza dubbio sono i medici: somministrare le cure e insieme infondere parole di speranza, conforto, rassicurazione è fondamentale per chi ha ricevuto una simile diagnosi. Ma il supporto psicologico è altrettanto importante, data l’inevitabilità dell’altalena di sentimenti che si accavallano in chi sta attraversando questo inferno: sensazione di farcela e di essere forti, battaglieri, coraggiosi e d’altra parte sentirsi sconfitti, impotenti, disperati; è qui che la persona non deve assolutamente essere lasciata sola, in preda alle sue angosce e alle sue paure perché, come ormai sappiamo, la psiche gioca un ruolo fondamentale nella lotta contro il male.
Ma non bastano i medici e gli psicologi; fondamentali sono i mariti o le mogli, gli amici, i genitori e tutte le persone care che creano una sorta di scudo e di protezione, ma solo e soltanto se riescono a essere discreti, non invadenti, solo e soltanto se rispettano chi sta soffrendo dandogli la sensazione di una presenza sicura ma non compassionevole. E poi da ultimi, ma non certo come ordine di importanza, ci sono tutte quelle persone che stanno attraversando lo stesso calvario. Nei luoghi dove vengono fatte le terapie, infatti, sembra regnare tra le persone in cura uno spirito di vita quasi miracoloso; lì si capisce come possano cambiare le priorità della vita, lì si respira davvero una forza che è persino difficile da spiegare, lì si fanno sorrisi veri pur nella disperazione: sembra quasi un paradosso, un controsenso, ma è la verità. E purtroppo si sfata il mito dell’immunità casentinese: ci sembra impossibile sapere di così tante persone colpite da questo male in una realtà piccola come la nostra, persone che molto spesso abbiamo visto almeno una volta. Dopo il primo brutto impatto, però, sembra di essere in famiglia; si parla del problema senza chiudersi nel dolore, si condivide, si capisce di non essere soli e si prende esempio dalle persone che riescono a viverlo con grinta e coraggio: come loro, dobbiamo farlo anche noi. Allo stesso tempo, però, dobbiamo anche pensare che ogni persona è unica anche in questa malattia e che è importante non farci influenzare negativamente dai commenti di coloro che hanno avuto storie diverse.
Tra chi mi legge, c’è una persona che sa con quanto affetto e coinvolgimento abbia scritto questo pezzo: lo dedico a te, lotteremo insieme.

Ilaria Artusi
L'autrice: Ilaria Artusi
Psicologa e psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Breve Strategica, training autogeno ed autoipnosi. Svolgo attività di consulenza clinica, sostegno psicologico e psicoterapia rivolta al singolo, alla coppia e alla famiglia. Tengo cicli di incontri di divulgazione psicologica rivolti a un pubblico di non specialisti.

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