Disordini alimentari

I Disordini alimentari mettono a dura prova un genitore: cosa può fare un genitore con un figlio in difficoltà col cibo?

Salve dottoressa Artusi, sono la mamma di una ragazza di 14 anni che da qualche mese a questa parte mi sta preoccupando; sta molto attenta all’alimentazione, sembra quasi che ci si sia fissata, mangia tante verdure e tanta frutta ma vedo che evita le cose più calorose. Inoltre più di una volta ho sentito dire che ‘è grassa’, quando in realtà le posso garantire dottoressa che ha un peso nella norma. Ho paura che questo sia l’inizio di un problema più grave. Le chiedo che cosa potrei fare come mamma per evitare che possa cadere in un vero e proprio problema alimentare; purtroppo non conosco molto questa tipologia di problematiche per cui le chiedo anche la cortesia di ‘illuminarmi’ un po’ in questo senso, di spiegarmi meglio di che cosa si tratta e perché possono nascere certi problemi. La ringrazio per la sua attenzione e per la risposta che mi darà.

Gentile signora, vorrei innanzitutto ringraziarla per avermi scritto e per avermi dato la possibilità, rispondendo alla sua richiesta, di fare luce su una problematica sempre più diffusa tra gli adolescenti ma troppo spesso sottovalutata. Si tratta del problema legato al cibo e alla propria immagine corporea che può generare, se trascurato, una vera e propria patologia alimentare. La rassicuro sul fatto che sua figlia al momento non ha un problema alimentare, ma questa fissazione sul cibo e sul proprio aspetto esteriore che lei ha notato negli ultimi tempi, può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di problematiche alimentari, per cui ha fatto bene a chiedere maggiori informazioni al riguardo e consigli su come agire. Quello che oggi purtroppo sta avvenendo nella nostra società è sempre una maggiore enfatizzazione della perfezione estetica, della bellezza esteriore vissuta, soprattutto dai giovani adolescenti, come l’arma vincente, per cui il corpo, rischia di essere vissuto non più come parte integrante della propria identità, ma come “oggetto sociale”, da modellare e conformare alle richieste sociali. La conseguenza di tutto questo è un’errata attribuzione di significato data al cibo, vissuto non più come sano e piacevole “carburante” per il nostro corpo, ma come mezzo per plasmare e modellare il nostro aspetto esteriore per conformarlo ai modelli socialmente approvati. E’ insomma attraverso il controllo del cibo che si dimagrisce, si ingrassa, si migliora il proprio aspetto, si acquisisce forza fisica.
Ma se ci pensa bene, la realtà è che questa nostra società è assolutamente contraddittoria e ambivalente: se da una parte enfatizza fortemente il culto dell’immagine corporea, dall’altra spinge verso una “iperalimentazione”: basta pensare alle tante pubblicità che sponsorizzano cibo buono e irresistibile, disponibile a buon mercato sempre e ovunque. Ecco allora che all’interno di questo conflitto un numero crescente di giovani – ma anche meno giovani – rimane imprigionato in una patologia alimentare, che può avere conseguenze anche molto gravi. Le più comuni sono: l’anoressia, con un rifiuto quasi totale del cibo; la bulimia, con un’assunzione smodata e incontrollabile di cibo; la sindrome da vomito, per cui le persone mangiano e vomitano più volte al giorno e molte forme di obesità, soprattutto infantile e adolescenziale. E si tratta di patologie che, come abbiamo detto, derivano da cause sociali, culturali, ma anche da cause psicologiche per cui, tanto più una persona è fragile dal punto di vista psicologico, – come è tipico nell’età adolescenziale – tanto più i fattori sociali e culturali potranno influire negativamente su di lei.
Le ho spiegato tutto questo perché credo che sia importante che un genitore, se la propria figlia inizia a mostrare aspetti che possono far pensare all’insorgere di un disordine alimentare, abbia una visione ampia e completa di tali problematiche. Venendo ai consigli pratici che lei mi chiede su come agire nei confronti di sua figlia quello che le dico è questo: spesso, e direi giustamente, ci allarmiamo se notiamo nei nostri figli dei comportamenti ambigui e poco chiari per cui, presi dall’ansia, interveniamo e agiamo trasformando molto spesso una difficoltà transitoria in un vero e proprio problema. Ad esempio parlando in famiglia costantemente di ciò che non va o chiedendo di continuo spiegazioni ai nostri figli non facciamo che aggravare la cosa. Nel suo caso, per quanto so che non sia cosa facile da farsi per un genitore, dovrebbe ‘osservare ma senza intervenire’, vedere cioè come evolve la situazione nell’arco del prossimo mese senza però chiedere o emettere giudizi in proposito. Se poi dovesse notare un reale peggioramento della situazione allora dovrà parlarne apertamente con sua figlia, meglio se insieme al marito, e decidere per un aiuto di tipo psicologico, perché si tratta di problemi che da sola la ragazza difficilmente potrà superare, anche con tutto il vostro appoggio. Uno specialista potrà in quel caso dirvi esattamente cosa fare e come comportarvi per aiutare vostra figlia. Spero di averle risposto; per qualsiasi altro dubbio o domanda che vorrà rivolgermi ancora, non esiti a contattarmi. Non dimentichi che una madre serena significa un figlio sereno, anche nella peggiore delle situazioni, per cui sta a noi genitori non allarmare i nostri figli più di quanto non lo siano già quando attraversano momenti difficili.

Ilaria Artusi
L'autrice: Ilaria Artusi
Psicologa e psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Breve Strategica, training autogeno ed autoipnosi. Svolgo attività di consulenza clinica, sostegno psicologico e psicoterapia rivolta al singolo, alla coppia e alla famiglia. Tengo cicli di incontri di divulgazione psicologica rivolti a un pubblico di non specialisti.

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