Angoscia

L’angoscia è un sentimento molto intenso di ansia e apprensione, minaccioso e catastrofico per la persona che lo prova.

‘Sto male, sono angosciato tutto il giorno, mi aiuti a capire che cosa mi sta succedendo…’. Questo è ciò che spesso mi viene riferito dai pazienti che si rivolgono a me per superare uno stato di profonda angoscia, ormai attanagliante da giorni, se non addirittura da mesi. L’angoscia è definita come l’ansia senza oggetto, ossia una condizione di profondo disagio fisico ed emotivo, seppur in assenza di uno o più motivi precisi. Chi entra in questo stato è come se ad un certo punto non si riconoscesse più, perché in effetti quella spensieratezza di un tempo sembra ormai tanto lontana. Le persone si spaventano di loro stesse e a osservarle bene negli occhi e ad ascoltarle profondamente danno come la sensazione di essere davanti a bambini terrorizzati e impauriti.

Come scrive Andreoli, “ l’angoscia è un’ansia ancora più drammatica, ed è ben espressa dalla radice del termine che è la stessa di angustia, che descrive la condizione di chi si trova in un vicolo stretto e non ne vede la fine, o in un tunnel di cui non percepisce il punto di luce che segna l’uscita

 

Ciò che colpisce delle persone angosciate è che non riescono bene a definire ciò che provano: si mettono la mano sullo sterno, in genere sulla bocca dello stomaco, e fanno grandi sospiri. Ma se devono definire che cosa li attanaglia, vanno in crisi: non lo sanno, o meglio, potrebbero essere tante cose, ma non chiare ai loro occhi.

In realtà, fare domande giuste in una prima fase di conoscenza, è fondamentale per cogliere che cosa c’è sotto a questo stato emotivo, che non è panico, non è disperazione, non è agitazione: è angoscia.

L’angoscia, come spiego loro, è il coperchio che copre le vere motivazioni profonde, è ciò che emerge, ma che nasconde quello che la genera. Ha un significato profondo, ed è lì che cerco di portare questi pazienti affinché se ne possano liberare.

Per cercare di spiegare le motivazioni profonde legate allo stato d’angoscia voglio fare riferimento al filosofo Kierkegard, che definì l’angoscia come il ‘sentimento della libertà’, ossia quella sensazione che prova un carcerato, ormai rinchiuso da anni in una cella, nel momento in cui viene fatto uscire e lasciato andare là dove vuole. Potremmo pensare che nel profondo della sua anima, il carcerato non possa che essere felice nel sentirsi finalmente libero; in realtà, molto spesso, tale condizione di libertà lo destabilizza a tal punto da sentire la necessità di ricommettere un nuovo crimine e tornare chiuso tra le quattro mura. Non è follia quella del carcerato, ma paura della libertà, paura delle scelte e dell’assunzione delle responsabilità.

Quando proviamo angoscia, proviamo verosimilmente ciò che prova l’uomo appena uscito dalla cella: ognuno di noi è destinato e costretto a prendere delle decisioni e a fare delle scelte che possono prospettarsi pericolose o sbagliate; l’esistenza umana è aperta ad un futuro che non possiamo prevedere e controllare e l’angoscia, come stato d’animo, è fortemente connessa all’avvenire, che poi è quell’orizzonte temporale in cui l’esistenza stessa si realizza. Quindi, per certi versi, l’esistenza umana stessa non può prescindere da questo sentimento che tutti, prima o poi, proviamo.

Tuttavia, per quanto sia normale provarlo, diviene un problema se il livello di questo sentimento supera un certo limite e diventa un’angoscia insopportabile che impedisce non solo di vivere ma anche di mantenere una lucidità mentale tale da fare le scelte migliori per la propria vita.

 

In termini più analitici, possiamo descrivere l’angoscia come ciò che emerge da un conflitto interno tra stati del nostro io: quando dobbiamo prendere una decisione, il nostro stato Adulto deve gestire le pressioni e le tensioni derivate dalle altre parti del nostro io, in particolare del nostro Bambino Interiore e del nostro Genitore Interiorizzato – che Freud chiamava Es e Super-Io –.

Facciamo l’esempio di un uomo che si ritrova, all’età di quarant’anni, a dover decidere se cambiare lavoro e rischiare di affrontare tutta una serie di conseguenze legate all’eventuale cambiamento, oppure se rimanere nell’attuale posto di lavoro, seppur con estrema difficoltà e senso di frustrazione. Si tratta di una decisione senza dubbio difficile, ma che nessuno potrà prendere al suo posto. Se quest’uomo cade in uno stato d’angoscia di fronte a questa scelta, vuol dire che si è attivato in lui un conflitto interno tra parti di sé che gli dicono cose contrastanti, conflitto al quale dovrà cercare di metter pace attraverso il suo Adulto. Molto probabilmente avrà un Bambino Interiore che gli comunica ‘Basta, non voglio più stare in questo posto, sono triste, affaticato e arrabbiato’; e avrà un Genitore Interiorizzato che lo mette in guardia suscitando in lui paure e dubbi ‘Sei sicuro di essere in grado? E se poi sbagli? Se te ne penti? Non lasciare la certezza per l’incertezza…’.

L’Adulto del quarantenne, per decidere, deve far in modo di mettere a tacere le voci interne negative del suo Genitore e dare fiducia alle sensazioni del Bambino che ha il bisogno di cambiamento e di libertà. Fin tanto che non farà questo, lo stato di angoscia pervaderà quest’uomo, costretto, per forza di cose, ad essere libero di scegliere se affrontare la libertà o meno, esattamente come quel carcerato.

 

Ognuno di noi, volente o meno, è artefice del proprio destino e si crea da solo le gabbie dentro le quali rimanere imprigionato o i sentieri verso un futuro nuovo.

Aprire gli occhi su noi stessi è il primo passo: il resto è una conseguenza inevitabile, sia che si decida di restare nel vecchio conosciuto, sia che si decida di andare verso il nuovo, seppur incerto.

La decisione, una volta presa, qualunque essa sia, eliminerà l’angoscia.

 

Ilaria Artusi
L'autrice: Ilaria Artusi
Psicologa e psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Breve Strategica, training autogeno ed autoipnosi. Svolgo attività di consulenza clinica, sostegno psicologico e psicoterapia rivolta al singolo, alla coppia e alla famiglia. Tengo cicli di incontri di divulgazione psicologica rivolti a un pubblico di non specialisti.

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